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Elezioni in Portogallo, dove la democrazia abdica a favore dell’Europa

Nell’assoluto silenzio mediatico che ha avvolto le elezioni politiche in Portogallo, si sta verificando un presunto attentato alla democrazia del Paese. Il Presidente della Repubblica Silva, infatti, non ha affidato l’incarico di governo al leader della coalizione di sinistra Costa, nonostante il raggiungimento di una schiacciante maggioranza. Il timore di Silva, infatti, risiedeva nella possibilità, che l’orientamento evidentemente populista che caratterizza il programma di governo di Costa, possa destabilizzare i mercati europei in modo negativo. Il rifiuto del Presidente Silva, inoltre, è vincolato all’eventualità di una coalizione che il governo Costa formerebbe con il Bloco de Esquerda, il partito che ha come piano d’azione l’uscita del Paese dall’eurozona e lo scioglimento della Nato. Una scelta che viola, evidentemente, le più basilari regole democratiche, con il Capo di Stato lusitano che ha riconferito l’incarico di formare un esecutivo a Pedro Passos Coelho, nonostante rappresentasse la forza politica sconfitta, a vantaggio di chi ha concretamente vinto ma che, questo  è almeno il parere del presidente portoghese, rischierebbe di “destabilizzare i mercati”.

Aprendo un’analisi più approfondita sull’argomento e considerando l’inevitabile coinvolgimento del nostro Paese e dell’intera Europa nella faccenda, si potrebbero ipotizzare tre differenti motivi di preoccupazione riguardo alla situazione politica portoghese e alle sue conseguenze: l’esistenza di una presunta ‘finta democrazia’ nell’Unione Europea, la possibilità di scioglimento della stessa Unione suffragata dalle sinistre dei Paesi membri e la sovranità del mercato finanziario su ogni altra questione più o meno importante sul tavolo europeo. Esaminiamo, a questo punto, ogni singolo punto finora evidenziato.

La prima questione che pare faccia emergere la crisi politica vissuta dal Portogallo è legata a doppio filo con quella che viene definita come una ‘finta democrazia’ dell’Unione Europea, ovvero la possibilità che si sia creata un un’unione monetaria e finanziaria sulla base di una democrazia inesistente. Stando a questa visione dell’Europa, l’unione degli Stati membri sarebbe in realtà basata su una gestione autoritaria e questa evidenza si può facilmente esaminare nelle varie istituzioni sovragovernative. La Bce, per esempio, ha concentrato l’intero potere monetario ed economico nelle proprie mani, annullando di fatto il potere delle singole banche nazionali e coinvolgendo i popoli e gli Stati membri esclusivamente come spettatori passivi di decisioni alle quali non possono partecipare. Stando a questa visione dell’Europa l’autoritarsismo dell’Unione si mostra soprattutto nel caso di possibili fuoriuscite dal sistema, proprio come nel caso del Portogallo dove, di fatto, sta decidendo il mercato e non il popolo attraverso le regolari elezioni politiche alle quali ha partecipato. Fino a quando le scelte del popolo vanno di pari passo con quelle del mercato sarebbero rispettate, in alternativa non conterebbero nulla.

La seconda questione è legata al ruolo delle sinistre di tutti i Paesi europei che con il passare del tempo sembra stiano acquisendo coscienza sul “problema Europa” e sulla eventuale necessità di abbandonare l’Unione al fine di abbattere l’Europa dei mercati e di rifondare quella basata sui popoli e sulla democrazia. Guardando al passato occorre ricordare che lo stesso Lenin, uno dei più importanti portavoce delle sinistre storiche, si era opposto fermamente al solo sentire la definizione “Stati Uniti d’Europa, inquadrandolo come un progetto reazionario posto a base della sconfitta definitiva del Socialismo. Quasi seguendo idealmente l’idea di Lenin, la Sinistra portoghese ha dimostrato di voler avviare la propria lotta al capitalismo, anche se questo potrà significare l’abbandono dei fratelli europei. Una lotta, quindi, che va intesa come emancipativa e non semplicemente come reazionaria.

Il terzo problema emerso in seguito alle elezioni portoghesi è che all’interno dell’Unione Europea non esistono altri poteri se non quello del mercato, al quale tutto deve essere sacrificato, persino i grandi capisaldi della democrazia. E’ il caso, quindi, di abbandonare le scelte democratiche se queste contrastano con le leggi di mercato, evidenziando quanto non siano compatibili le parole ‘democrazia‘ e ‘libero mercato‘. Stando a questa interpretazione della situazione europea, quindi, i grandi Capi di Stato e di Governo che oggi inorridiscono al solo sentire l’ipotesi di abbandonare l’Unione Europea, in realtà sarebbero coloro che si pongono come difesa alla vera ragione di esistenza dell’Unione: il mercato, inteso come realtà finanziaria ed economica, a scapito di quella sociale e democratica.