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FacebooK: profilo falso e uso non lecito, si rischia sino ad un anno di reclusione

I vantaggi che i social network hanno apportato nelle nostre vite sono sotto gli occhi di tutti: restare in contatto con persone che vivono dall’altra parte del pianeta, allargare la propria cerchia di amicizie, migliorare le relazioni sociali, informarsi, passare il tempo vincendo noia e depressione.

Tra questi, inutile sottolinearlo, quello che ancora annovera il maggior numero di utenti è Facebook, di proprietà di Mark Zuckerberg, ormai quotato in borsa e con circa 11 milioni di utenti attivi ogni giorno.
Come per tutte le cose, c’è ovviamente anche il rovescio della medaglia: un social network presenta anche diversi lati negativi, già ampiamente dibattuti da psicologi di fama nazionale ed internazionale. Oltre agli aspetti che riguardano la sfera emotiva e psicologica, c’è da sempre un problema irrisolto che è legato alla sicurezza e all’identità dei profili. Ne sanno qualcosa i personaggi famosi, che in più di un’occasione si sono visti sottrarre la propria identità da fan o presunti tali in cerca di un pizzico di effimera popolarità: da Michelle Hunziker a diversi calciatori, fino a Vasco Rossi e, da ultimo, Samuele Bersani. Il profilo del “ladro di identità” del cantante bolognese, prima di essere smascherato, aveva addirittura ottenuto più “like” di quelli della pagina ufficiale del cantante stesso.

Si è cercato più volte, senza esito, di arginare e mettere un freno a questo inconveniente, ma è notizia fresca la sentenza della Corte di Cassazione che, per la prima volta, ha condannato una donna che aveva creato un falso profilo su Facebook e con esso aveva molestato sul social una sua vicina di casa.
In fase di registrazione di un profilo (operazione ancora completamente gratuita e che richiede meno di cinque minuti), si devono accettare una serie di condizioni che prevedono il divieto di utilizzare dati non veritieri, ma c’è da dire che i controlli non sono mai stati molto serrati in questo senso. Anche perchè, per dar via ufficialmente alle indagini, dovrebbe essere Facebook stessa ad adire le vie legali e questo accade molto raramente, se non dopo ripetute segnalazioni. Cantanti ed attori possono anche reagire sportivamente al furto del loro profilo, ma le cose si fanno più serie quando i profili fake vengono creati per adescare minorenni o lanciare minacce e diffamazioni.

Ma le cose ora cambiano dunque e si configura l’ipotesi di reato civile e penale con pene fino ad un anno di reclusione per chi sostituisce la propria identità con quella di un’altra persona.
Va fatta una precisazione però: non conferisce reato la sola creazione di un profilo “fake”, come si dice nel gergo del social network: per essere punibile la persona in questione deve anche esprimere e pubblicare frasi offensive, calunnie, minacce o diffamazioni nei confronti di un altro soggetto/profilo.

In quest’ultimo caso di configura non solo il reato di “Sostituzione di persona“, che viola l’articolo 494 del Codice Penale. Per esso si può procedere d’ufficio e, come ha stabilito la recente sentenza sul tema della Corte di Cassazione, si aggiunge al reato penale anche quello civile di diffamazione aggravata (nel caso ad esempio di falsi profili creati per inveire contro vip e personaggi famosi).
Una condanna pesante dunque, che può arrivare a provocare fino ad un anno di reclusione per il creatore del profilo fake e che forse farà desistere “ladri” di identità e diffamatori seriali.

Ma come è possibile denunciare un falso profilo? La cosa è molto più semplice di quanto si pensi. Per la polizia postale ,infatti, non è complicato risalire al vero intestatario di un falso profilo. In fase di registrazione, chiunque crei un falso profilo deve necessariamente lasciare delle tracce, come un numero di telefono o una casella e-mail con cui confermare la registrazione del profilo. L’operazione che si effettua per risalire all’ID (così si chiama in gergo) dell’utente Facebook, può essere compiuta anche dalla stessa persona che subisce la molestia. Come? Basta annotare l’URL del profilo incriminato, che si trova nella barra degli indirizzi del browser.

L’URL ha un aspetto simile a questo: http://facebook.com/profile.php?=123456789… i numeri finali sono una sorta di codice identificativo dell’utente. Grazie a questo codice ( o ad altre ulteriori e più complesse ricerche) la polizia postale può generalmente risalire all’identità dell’utente. Certo, non sempre le cose sono così semplici, ma con gli esperti informatici della polizia postale e questa prima sentenza di condanna della Corte di Cassazione forse c’è qualche speranza che i ladri di identità diminuiscano sensibilmente.

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