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Acqua al cromo, tra condanne e prescrizioni

Non è solo l’ILVA di Taranto che va ricordata quando si parla di inquinamento ambientale, nè è solo colpa di Pechino se le condizioni del pianeta intero stanno peggiorando. A Spinetta Marengo, nel piccolo della provincia di Alessandria, nel 2009 era partita un’inchiesta dopo la scoperta di altissime concentrazioni di cromo esavalente e altre sostanze molto inquinanti nelle faglie sotterranee che vanno a rifornire tutta la zona. Le indagini, durate a lungo, hanno portato alla luce la responsabilità di alcune persone collegate a due aziende chimiche, la Ausminot e la Solvay Solexis, e la conseguente sentenza: quattro dirigenti, Francesco Boncoraglio, Luigi Guarracino, Giorgio Carimati e Giorgio Canti sono stati ritenuti colpevoli e responsabili di quanto accaduto e condannati a due anni e mezzo di carcere ciascuno, un totale di dieci anni; altri tre imputati sono stati assolti, mentre per un quarto è scattata la prescrizione.

Se da un lato si vorrebbe essere felici che la giustizia sia riuscita a condannare chi è responsabile di un danno di tale portata, dall’altro si rimane interdetti per la brevità delle condanne, a fronte dei danni che sono stati provocati e da ciò che potenzialmente sarebbe potuto succedere se la verità non fosse venuta a galla. Proprio per questi motivi le richieste iniziali dell’accusa nella figura del pubblico ministero Riccardo Ghio, convinto che in quanto successo ci fosse dolo, ammontavano cumulativamente a 127 anni di carcere. Intanto il Ministero dell’Ambiente, forte della sentenza di condanna, ha chiesto un risarcimento di 100 milioni di Euro: probabilmente la vicenda è ben lontana da una conclusione.