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Corea del Nord: riecco Kim Jong-un, accusato dall’Onu di crimini contro l’umanità

Dopo una misteriosa assenza di più di un mese ha fatto una  ricomparsa pubblica il temuto leader coreano Kim Jong-un. Una scomparsa la sua che, probabilmente, generando le più disparate spiegazioni, non aveva reso tristi molti, poichè, spesso, lo stesso era salito alla ribalta per una scia di sangue tracciata in Corea del Nord dal regime dittatoriale di cui ha ereditato il comando dopo la morte del padre.

Molti gli episodi ( non tutti confermati, a dire il vero) relativamente ad una sua supposta crudeltà, realizzata attraverso astrusi divieti e perpetrando veri e propri crimini. A partire dalla singolare condanna di Kim Chol, ex Ministro della difesa, accusato di essersi ubriacato durante il periodo di lutto per la morte del “Presidente Eterno” Kim Jong-il, e ucciso al patibolo da un colpo di cannone, secondo l’ordine del dittatore che voleva che “non ne restasse traccia sulla terra“. Alla morte del “caro leader” infatti, tutti i cittadini devono obbligatoriamente rispettare il lutto più stretto, che dura 100 giorni.
Vendetta personale e gelosie coniugali si nasconderebbero, invece, dietro alla recente esecuzione di Hyon Song-wol, la cantante ex fidanzata di Kim, accusata di pornografia e fucilata insieme alla sua orchestra composta da altre 11 persone (anche in questo caso le notizie frammentarie rendono difficile comprendere se il fatto corrisponda al vero o rappresenti una leggenda metropolitana).
Il Comitato americano per i diritti dell’uomo in Corea del Nord, ha raccolto delle testimonianze secondo le quali una donna è stata messa in stato d’arresto e picchiata brutalmente solo per aver cantato, a casa sua, una canzone della Corea del Sud. L’accusa sarebbe stata di “Reato contro lo Stato“. Pena capitale invece nei confronti di un uomo reo d’aver rubato una foto incorniciata del leader. Le punizioni del regime di Pyongyang sono in genere a dimensione “familiare”: se un cittadino trasgredisce a delle regole scontano la colpa anche i suoi familiari, che vengono internati in dei campi di lavoro per essere “rieducati”. Qui molti trovano la morte.

Tra il 2006 e il 2013 il regime avrebbe isolato gli abitanti di una valle con una recinzione di 20 km, con torrette di guardia nelle entrate. Questo per impedire alle persone di entrare in contatto con i detenuti di un campo di prigionia situato nelle vicinanze. Il fatto è stato denunciato da Amnesty International.

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