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Il divorzio breve è legge: 6 mesi dalla separazione e niente Giudice. Ecco cosa cambia in materia di figli e comunione beni

Erano 12 anni che, in Italia, si stava provando a modificare la legge “898 del 1970”, che ha regolato il divorzio fino ad oggi.  Qualche ora fa la Camera si è espressa quasi all’unanimità, con 398 voti a favore, 28 contro e 6 astenuti.

I “sì” sono arrivati, tra gli altri, dal Pd, dal Sel, dal Movimento 5 stelle, dal Psi e da Forza Italia; quest’ultima, però, assieme a Lega Nord e ad Area Popolare, ha lasciato “libertà di coscienza” ai propri membri. Grazie alla maggioranza raggiunta ha trovato applicazione il testo che permette una notevole diminuzione dei tempi necessari per ottenere un divorzio.
In caso di addio giudiziale, non occorreranno più i 3 anni, ma ne sarà sufficiente uno solo; se, invece, il procedimento è di tipo consensuale, i tempi si riducono a 6 mesi. Non ha trovato applicazione, il cosiddetto divorzio immediato, che avrebbe fatto sparire l’obbligo di separazione.
Novità anche in tema di comunione dei beni, con uno scioglimento immediato o quasi, che prende il via dal momento in cui il Giudice autorizza i coniugi a vivere separati o  a quello, in caso di consensuale,  di sottoscrizione da parte dei due coniugi.

Subito dopo il voto, il premier Matteo Renzi ha voluto indicare, lasciando un messaggio su Twitter, come il risultato conseguito rappresenti un nuovo “impegno mantenuto” dal suo Governo. Con tale decisione il nostro Paese si allinea al resto d’Europa. In Spagna, ad esempio, il divorzio breve è entrato in vigore già nel lontano 2005. Il Decreto legge (il Dl 132/2014), oltre a modificare le tempistiche relative all’ottenimento del divorzio, prevede anche la negoziazione assistita in quelle cause che determinano la conclusione del legame matrimoniale. Viene anche eliminato l’obbligo di dare ai figli il cognome paterno.
L’istituzione della “negoziazione assistita da un avvocato” consente, ai coniugi che vogliono divorziare, oppure semplicemente separarsi, di rivolgersi direttamente ad un avvocato senza passare da un Giudice, cercando una soluzione in via consensuale.
Questo varrà anche nel caso in cui si chieda una modifica delle condizioni di divorzio (o di separazione) stabilite in precedenza da un Giudice. Sarà sufficiente che il legale metta per iscritto l’accordo tra i coniugi, che dovranno sottoscriverlo. La copia autenticata verrà trasmessa entro 10 giorni (per non incorrere in sanzioni), all’Ufficiale di stato civile (presso il Comune che ha iscritto oppure trascritto il matrimonio).

La negoziazione assistita, ad ogni modo, non potrà essere applicata in tutti i casi. Ad esempio, sarà esclusa nel caso in cui i coniugi risultino anche genitori di figli minori, oppure di figli che, seppure abbiano raggiunto la maggiore età, non risultino ancora autosufficienti. Ancora, non si potrà ricorrere a tale negoziazione in presenza di figli maggiorenni con handicap. In questi casi, infatti, è ritenuto ancora indispensabile l’intervento di un Giudice. Altra condizione necessaria affinché sia ammessa la negoziazione assistita è il consenso raggiunto dai coniugi relativo alla decisione di divorziare (o di separarsi).
Inoltre, per dare il via alla pratica, le coppie dovranno trovarsi già in stato di separazione.
Ad ogni modo, il decreto stabilisce anche una via alternativa alla quale si potrà fare ricorso per ottenere il divorzio, la separazione o le modifiche delle condizioni stabilite in precedenza. Infatti, le coppie potranno rivolgersi all’Ufficiale di stato civile per formalizzare quanto deciso di comune accordo. Anche in questo caso valgono le eccezioni indicate per la negoziazione assistita. È comunque previsto un secondo colloquio con l’Ufficiale di stato civile, che deve tenersi a 30 giorni di distanza dal primo, in modo che i coniugi abbiano il tempo necessario per riflettere sul passo da compiere.
A non essere cambiato, con il decreto, è il tempo di attesa tra la separazione e il successivo divorzio.

Per quanto riguarda il cognome dei figli, questi ultimi potranno ricevere il cognome del padre, ma anche quello della madre, oppure entrambi, in base alla scelta dei genitori. Se non si riesce a trovare un accordo, al figlio verrà assegnato il cognome della madre e del padre, secondo l’ordine alfabetico. Tale regola troverà applicazione anche per i figli nati non all’interno del matrimonio, a patto che vengano riconosciuti dai genitori. Ai figli adottivi sarà possibile aggiungere un solo cognome, da anteporre a quello originario. Anche in questo caso, in mancanza di accordo si utilizzerà il criterio dell’ordine alfabetico.
È importante sottolineare che le nuove norme non hanno un ambito di operatività immediato, in quanto dovrà necessariamente entrare prima in vigore il regolamento deputato ad adeguare l’ordinamento relativo allo stato civile. Infine, è stato stabilito che un coniuge che, successivamente al divorzio, si venga a trovare in una condizione di malattia e non risulti idoneo al lavoro, ha diritto ad ottenere l’assegno anche nel caso in cui tra i redditi della coppia esista una grande sproporzione.

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