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Riforma del lavoro: Renzi ottiene il voto della Direzione, ma il Pd si spacca

La riforma del lavoro proposta da Renzi è passata in Direzione, nonostante le tante voci fuori dal coro. Civati, ad esempio, accusa il Premier di utilizzare il linguaggio della destra di 10 anni fa; Bersani sottolinea che il problema non sia tanto l’articolo 18 quanto l’esistenza di un “metodo Boffo”, perchè chiunque ha diritto ad esprimere la propria opinione senza vedere lesa la sua dignità; D’Alema, infine,  accusa l’attuale Segretario di aver fatto affermazioni prive di fondamento, poichè il primo ad intervenire sul costo del lavoro fu il governo Prodi o perchè:

“Il tanto decantato tabù di cui saremmo prigionieri da 44 anni”

rappresenta un’affermazione non corretta, essendo stato l’articolo 18 modificato solo 2 anni fa con la creazione di una tutela residuale applicabile solo e soltanto in casi di illegittimo licenziamento

Nonostante cìo ieri in tarda serata la notizia del successo, con il raggiungimento dell’80% dei consensi, espresso in 130 voti, ai quali hanno fatto da contraltare i soli 20 voti contrari e gli 11 astenuti.
Renzi ha tenuto un intervento di fronte alla direzione, della durata di 45 minuti, all’interno del quale ha sostenuto a spada tratta la riforma in atto. Innanzitutto ha voluto ricordare come l’obiettivo non sia rappresentato dalla difesa dell’articolo 18, ma quello di dare un lavoro a tutti. Si è poi dichiarato favorevole a garantire il reintegro dei lavoratori solo nel caso in cui l’avvenuto licenziamento venga dettato da discriminazione o abbia un’origine disciplinare. Renzi ha voluto anche proporre una sfida ai Sindacati, cercando il confronto con questi ultimi su 2 temi, la legge di rappresentanza sindacale e il salario minimo, dicendosi disposto a riaprire la Sale Verde all’interno di palazzo Chigi a partire dalla prossima settimana.
Alle 18, prima del voto, Renzi ha aperto la direzione del Pd chiedendo di votare “con chiarezza” il documento che permetterebbe al Partito di segnare un nuovo cammino in materia di lavoro e di occupazione, indicando lo stesso Pd come un punto di riferimento in questi campi non solo per l’Italia, ma anche per l’Europa intera.
Ha voluto chiarire anche che, pur ammettendo la possibilità di mediazioni e di compromessi, non sempre questi ultimi possono e devono essere accettati a qualunque costo.

Il voto ottenuto alle Europee da parte di oltre il 40% dei votanti, con 11 milioni e 200 mila voti, è un patrimonio che deve essere utilizzato dal Pd per cercare di cambiare le situazioni che si sono venute a creare in Italia negli ultimi anni. Inoltre, il fatto che i cittadini lo abbiano chiesto proprio al Partito, quando invece non lo avevano fatto per i governi tecnici precedenti, è un fatto importante che fa capire la volontà degli Italiani di uscire da una situazione insostenibile.
Il Premier si è dichiarato anche sicuro e assolutamente non preoccupato da eventuali trame degli avversari politici, rifiutandosi di definirli come poteri forti, in quanto non hanno impedito al Pd di essere dove si trova ora, e nemmeno poteri “immobili” visto che, secondo lo stesso Renzi, hanno il difetto di peccare di dinamismo. L’unico termine che il leader Pd trova adeguato per definirli è poteri “aristocratici“.

Tornando all’articolo 18, l’intervento che verrà fatto in materia di lavoro sarà volto a far calare la disoccupazione, quasi raddoppiata negli ultimi anni. Senza alcun correttivo sul mondo del lavoro non sarebbe possibile riuscire a scendere da quel 13% di disoccupati raggiunto attualmente.
Renzi ha terminato il suo intervento ricordando che il lavoro può essere creato solo innovando delle regole ormai troppo vecchie, che non possono essere solamente difese. È necessario avere il “coraggio di andare all’attacco“.
Non si è fatta, naturalmente, attendere la replica sia della CGIL che della UIL. La CIGL, attraverso una nota della Segreteria nazionale, ha voluto sottolineare che quanto proposto per il mercato del lavoro rimane ancora piuttosto vago e indefinito, pur riconoscendo a Renzi l’impiego di toni diversi rispetto a quanto fatto nel recente passato. Più dura la replica della UIL, che minaccia uno sciopero generale nel caso in cui il Governo dovesse cancellare l’articolo 18 dallo Statuto dei lavoratori.

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