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Dopo un ritardo di 31 anni, e i fatti della Diaz in mezzo, il reato di tortura vicino a divenir legge. Alleluja!

Dopo la condanna della Corte europea inflitta all’Italia per le vicende di Genova, la Camera si è subito espressa favorevolmente al ddl relativo al reato di tortura.

La sentenza era arrivata dopo il ricorso effettuato da Arnaldo Cestaro per i fatti che avevano visto coinvolte le forze dell’ordine al G8 nel capoluogo ligure, svoltosi nel lontano 2001. In particolare, è stata la notte del 21 Luglio all’interno della scuola Diaz ad essere giudicata dalla corte europea. Quest’ultima ha dichiarato con coro unanime che il nostro Paese aveva violato, in quell’occasione l’articolo 3 della Convenzione, che definisce il reato di tortura.

La decisione presa dalla Camera è volta a colmare quello che rappresenta un ritardo di almeno 30 anni in materia. Sono stati 244 i voti a favore del ddl, a fronte di 50 astenuti e di soli 13 no. Il testo, ora, è pronto a tornare in Senato e dovrebbe diventare legge nel giro di qualche settimana.
È stato il Ministro della giustizia Andrea Orlando a rivolgere un appello prima del voto, augurandosi che la risposta dei membri della Camera risultasse particolarmente ampia. Tra i punti salienti della legge, che riprende quanto già stabilito dalla “Convenzione Onu contro la Tortura“, datata e sottoscritta dal nostro Paese nel lontano 1984 (anche se della tipologia di reato si parlava già nella Convenzione di Ginevra in relazione ai  prigionieri di guerra e nella Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo entrambe del l 1948 e nella la Convenzione europea dei diritti dell’uomo di un anno più recente)  quello che prevede la tortura come “reato comune” e che, pertanto, può essere punito con la condanna alla reclusione per un periodo tra i 4 e i 10 anni.
Si parla di violenze o minacce, oppure della violazione degli obblighi di “protezione o assistenza“. Affinché sia possibile definire un comportamento “tortura” è necessario che l’autore agisca intenzionalmente, cagionando sofferenze sia di natura fisica che psichica al fine di avere informazioni oppure “dichiarazioni”.

Ad accendere il dibattito in aula è stato il “Movimento 5 Stelle“, che ritiene la legge inutile, in quanto il reato finirebbe per essere tale solo quando la vittima venga affidata alla vigilanza di colui che sarebbe il presunto colpevole. In questo modo, fatti come quelli avvenuti a Genova sarebbero destinati a rimanere ancora impuniti. Lo stesso M5S, comunque, ha per ora accantonato un emendamento che chiedeva il reato “a prescindere” dalla stessa custodia confermando, ad ogni modo, il suo parere contrario. Il Pd, invece, si è detto convinto che quanto sollevato dall’M5S non sia un problema reale.

Un altro punto fondamentale del ddl è rappresentato dal fatto della prevista aggravante nel caso in cui la persona che si trovi a commettere il reato di tortura sia un pubblico ufficiale. In questo caso si parla di abuso di potere o di violazione dei doveri. La pena minima, qualora questo si verifichi, sarebbe di 5 anni, con la massima fissata a 15. Nel caso di lesioni gravi, la pena salirebbe di 1/3 mentre, se il comportamento dovesse portare alla morte del torturato, aumenterebbe di 2/3. Infine, se il decesso è “volontario”, si assisterebbe alla condanna all’ergastolo.
Sempre il ddl introduce il reato di “istigazione del pubblico ufficiale” a commettere atti di tortura. In questo caso la reclusione sarebbe da 1 a 6 anni.

Se questi sono i principali punti, la legge disciplina anche altre questioni, come quelle delle espulsioni, delle immunità diplomatiche e, infine, delle estradizioni. Le espulsioni, ad esempio, verranno vietate qualora lo Stato verso il quale una persona è indirizzata possa perpetrare torture. Per quanto riguarda l’immunità diplomatica, invece, questa finirà per interessare anche chi è indagato (oppure già condannato) nel suo Paese di provenienza. Infine, si procederebbe all’estradizione di un cittadino straniero nei cui confronti sia stata emessa una condanna per il “delitto di tortura”, oppure si stia indagando in proposito. La parola, ora, passa al Senato, prima che il ddl possa tramutarsi in legge.

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