Cinema

Anime nere: l’ndrangheta raccontata sul grande schermo (trailer)

Anime nere“, giunto nelle sale la scorsa settimana, è un film la cui regia è firmata da Francesco Munzi e si fa apprezzare per la sua particolarità, con un’ambientazione insolita. S’ispira al romanzo scritto da Gioacchino Criaco e intitolato allo stesso modo.

Al centro della storia ci sono due fratelli, Rocco e Luigi, che decidono di lasciare il paese natale Africo – comune calabrese separato nettamente in due frazioni – dopo che il padre è stato ucciso. La nuova destinazione dei due è la metropoli, nella quale tentano di costruirsi una nuova vita trafficando eroina. Luigi si occupa del “lavoro sporco”, mentre Rocco investe nell’imprenditoria i soldi ricavati dalla droga. Il loro fratello maggiore, Luciano, resta nella parte di Africo collocata ai piedi dell’Aspromonte, proseguendo la sua esistenza fortemente connessa alla ruralità del luogo. Vive di pastorizia, allevando capre, e deve fare i conti con l’insofferenza di Leo, suo figlio, a disagio in quell’isolamento forzato e attratto irrimediabilmente dalla scelta di vita degli zii. Leo, inoltre, accusa il padre di aver costretto la famiglia in un luogo senza futuro, a causa della sua passività.
Le dinamiche dei contrasti a livello familiare sono narrate molto bene dal regista, che le espone come un qualcosa di conosciuto e con cui tutti, in maniere differenti, abbiamo avuto a che fare. Un ruolo di secondo piano, ma terribilmente attuale e perciò significativo, hanno le donne, che confluiscono quasi a sfondo delle vicende, escluse da qualsiasi scelta in un atteggiamento che appare complice e allo stesso tempo vittima dell’autorità maschile. La narrazione è asciutta e ciò aumenta senz’altro l’impatto del film sullo spettatore, che vede poco a poco la sete di potere e il desiderio di vendetta distruggere la famiglia prima all’interno e poi, in un secondo momento, anche all’esterno, fisicamente.
L’elemento che scatena la distruzione del nucleo familiare sarà l’assassinio di Luigi, cui seguirà la voglia di vendetta del nipote Leo, che porterà la storia narrata a sconfinare nella tragedia. Sono queste le “anime nere” del titolo del film, che spingono i personaggi alla ricerca dello scontro, dell’odio, della faida vissuti come necessità irrinunciabili.

Il tocco del regista è reso più realistico dalla sua esperienza nell’ambito dei documentari, con suggestive visioni della campagna nella quale si possono apprezzare i suoni vivi della natura. Il film è recitato interamente in calabrese – ragione per cui si sono resi necessari i sottotitoli – e non scade mai nel cliché del malavitoso del Sud, nonostante il rischio “macchietta” sia più vicino di quanto si pensi. Munzi non ha mai perso di vista il realismo, e questo è un altro punto a suo favore. Particolarmente apprezzata l’interpretazione di Leo, perfettamente a suo agio nelle vesti del giovane smanioso di azione e con l’irruente desiderio di affrontare di petto la vita. Un film, quindi, da vedere come ha sottolineato, commentandolo, lo stesso Roberto Saviano che a proposito dell’opera di Munzi parla di

“Opera necessaria. La Calabria come metafora di potere”

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