Cinema

“Un posto sicuro”, al cinema dal 3 Dicembre. Recensione e trailer

Il film, uscito nelle sale ieri, 3 Dicembre, purtroppo, non è una storia inventata, ma un film che denuncia un capitolo drammatico della nostra storia recente, che porta in scena un dramma, talmente violentemente crudele e assolutamente inaccettabile, che non ha bisogno neppure di artifici di copione per bucare lo stomaco di spettatori e le coscienze ( se ancora esistono) dei tanti, troppi colpevoli, da chi ha impiantato gli stabilimenti della morte a chi sapeva e ha sempre taciuto, sempre voltato il capo. È questa la triste storia di un dramma che in una regione dell’apparentemente sicuro Nord Italia non ha risparmiato, probabilmente, alcun nucleo familiare, il doveroso omaggio del grande schermo alle migliaia di vittime che l’Eternit ha fatto e continua, quotidianamente e nel silenzio generale, a mietere.

La regia è di Francesco Ghiaccio, la sceneggiatura è dello stesso Ghiaccio e di Marco D’Amore, i due lavorano fin da sempre insieme. Nel cast ritroviamo, come attori principali lo stesso Ciro di Gomorra, oltre a Giorgio Colangeli e Matilde Gioli, la ragazza con cui il giovane protagonista cerca di stabilire una relazione vera, in fuga dal dolore e alla disperata ricerca di amore e normalità.
La storia è, naturalmente, ambientata a Casale Monferrato, nell’anno 2011, e racconta di Eduardo e Luca, padre e figlio, sino a quel momento come una sorta di Pianeti distanti:  il figlio, aspirante attore, emigrato in fuga da una realtà che gli stava troppo stretta ed il padre, intento a raccontare con malcelato orgoglio l’amore per quella che era la sua professione, per quel “lavoro” che prometteva all’inizio una sorta di agognato ed inseguito benessere  e che, al di là di quello che avveniva attorno, andava svolto. I due non si vedono da tempo, i rapporti sono persi da anni, ma si ritrovano improvvisamente e drammaticamente l’uno davanti all’altro. Infatti Luca scopre che suo padre sta morendo, è affetto da mesotelioma, un tumore che si sviluppa per le esposizioni alle fibre di amianto.

Nel dramma, i due si avvicinano e insieme, riannodando i fili di una rapporto che credevano perduto, cementano il loro ritrovarsi in una lotta per ottenere  un risarcimento per i danni subiti. Danni che, evidentemente, non sono tanto  fisici ma soprattutto morali, vista un’ingiustizia che, per decenni, indifferente a tutto e tutti si è nutrita di interessi economici, prepotenze e latitanze  istituzionali.

Ghiaccio e D’Amore raccontano e mostrano uno scenario drammatico dei nostri giorni, storie vere che tuttora vivono in molti, drammi che hanno segnato la vita di tanti e che non si cancelleranno, ma resteranno per sempre nei ricordi e nel dolore delle vittime. Il film racconta, senza pietismo di maniera, la storia di uno stabilimento che, chiuso negli anni ’80, ha sparso morte e disperazione in Piemonte, rimanendo attivo ancora decenni, dopo che già in molti avevano intuito la pericolosità delle letali polveri d’amianto. E poi il processo che ha messo insieme tutti familiari delle centinaia di  ex lavoratori colpiti a morte dalle polveri sottili ( si stima che siano, nel solo alessandrino, almeno 2.000) ed il suo chiudersi senza lieto fine, solo nel 2014 quando la Cassazione ha annullato il maxirisarcimento di 100 milioni di euro per le vittime dell’amianto, precedentemente deciso in appello, perché il reato è caduto in prescrizione.

Francesco Ghiaccio, nato a Torino, quindi non molto distante da Casale, ha sentito forte il  dover farsi testimone di  questa storia e ha cercato, riuscendoci molto bene, di raccontare come meglio poteva questo dramma. Lo stesso Ghiaccio, in un’intervista, afferma che la storia che racconta parla di rinascita, di vite che si rimettono in moto e danno un senso al proprio esistere, sullo sfondo di una città che cerca giustizia. Così come D’amore, anche produttore della pellicola,  gli fa eco, sottolineando come si tratti di un progetto non nato dalle fredde e asettiche pagine del processo, ma intessuto sulle testimonianze grondanti dolore e disperazione di chi ha visto la propria esistenza inghiottita da un buco nero di una realtà imprenditoriale capace di minare le storie personali di tutti coloro che avevano la sventura di incrociarla, disseminando morte  e nientificando il quotidiano.

E mentre in Italia la Cassazione ha affondato l’ennesimo schiaffo alla memoria delle migliaia di vittime e al dolore dei tanti familiari, per chi non lo sapesse, l’Eternit, con lo stesso marchio, continua la sua mefitica produzione in molti paesi del Sud America.