L’ultimo lupo: Natura, dignità e rapporto uomo-animale, protagonisti dell’ultimo film di Annaud (trailer)

Jean-Jacques Annaud è un regista che ha una certa dimestichezza con la forza visiva delle scene, e tutti ci ricordiamo il suo “Sette anni in Tibet” (ma anche “Il nome della rosa“, “L’Amante” e “Il nemico alle porte”) .
Nel film “L’ultimo lupo” il regista francese ha dato di nuovo sfoggio della propria abilità, con una pellicola dalla quale emerge, attraverso proprio la potenza delle immagini, lo spirito più rude della natura, quello con il quale l’uomo si è più volte confrontato nella storia della cinematografia mondiale. In questo caso, ad essere narrata sullo schermo è una sorta di favola dagli spiccati connotati ideologici, in cui l’uomo è portato ad indagare a fondo sulla propria identità. Non manca, inoltre, un rimando ai temi ambientali, ed in particolare ad una maggiore attenzione della politica sulla questione.

La pellicola è stata presentata nel corso del “Bif&est” 2015 e non ha deluso le aspettative dei fan del regista. A colpire lo spettatore è in particolare l’elemento spirituale, che fra l’altro ricorre spesso nelle opere di Annaud. Per inciso, la spiritualità non viene per nulla inquinata, ma anzi esaltata dai grandi mezzi a disposizione del film, quasi da kolossal in perfetto stile hollywoodiano.
Il film è ispirato al libro cinese “Il totem del lupo” di Jiang Rong, un’opera la cui popolarità in Cina è enorme, seconda soltanto al “Libretto rosso” di Mao. Si capisce dunque l’importanza del lavoro che il cineasta transalpino ha voluto portare sul grande schermo.
La vicenda è ambientata in una fra le zone più selvagge della Mongolia e immediatamente si percepisce di fronte a quale tipo di sfida tecnica il regista si sia trovato di fronte, dovendo girare in aperta steppa (qualcosa che non capita certo di vedere tutti i giorni). Il primo merito di Annaud è quello di portare una storia piuttosto localizzata ad un piano superiore, in grado di coinvolgere l’uomo inteso come umanità ed il suo rapporto con la natura e con la sua forza dirompente.
Il protagonista della pellicola è Chen Zhen, il cui volto è quello di Shaofeng Feng, ragazzo che studia a Pechino e che nel 1967 viene inviato dal governo cinese in Mongolia per due anni. Scopo di questo incarico è educare una delle comunità nomadi del luogo ai principi della “Rivoluzione Culturale” in atto all’epoca. A sconvolgere la vita del giovane sarà un contatto molto ravvicinato con un branco di lupi.

L’animale simboleggia in primo luogo l’individualismo, contrapposto per certi versi alla dittatura di massa che cerca di insinuarsi anche nelle più remote lande del Paese. Lo spirito del lupo conquista subito il giovane Chen, lo seduce e ne contamina il pensiero unico e l’ideologia politica che lo avevano caratterizzato al momento del suo arrivo nella tribù di nomadi. Ciò a cui si assiste nel film è una sorta di risveglio della coscienza per il ragazzo, e il messaggio nasconde – o sarebbe meglio dire svela – una durissima critica nei confronti della Cina, della sua politica a livello ambientale e del suo regime, che lavora all’annichilimento scientifico delle personalità individuali.
La natura rappresentata da Annaud in tutta la sua forza dirompente permette all’uomo, e all’umanità intera, di liberarsi di tutti quegli stereotipi che vengono proiettati dall’alto, con l’obiettivo di normalizzare e rendere tutti uguali gli esseri umani. L’individualismo, perfettamente rappresentato dalla figura del lupo, viene azzerato insieme alla dignità.
Il giudizio complessivo sul film non può che essere molto positivo, un altro colpo messo a segno da Annaud, che ha girato un film che sa essere allo stesso tempo affascinante, epico e complesso (e i sette anni che ci son voluti per portarlo sul grande schermo stanno lì a testimoniarlo).