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Falso reportage sul fenomeno del Blue Whale: la “Iena” Matteo Viviani finisce nella bufera

L’ARTICOLO DI SELVAGGIA LUCARELLI – Dopo le polemiche scoppiate negli scorsi mesi in merito ad alcuni servizi accusati di basarsi su delle fake news, il programma di intrattenimento Le Iene è finito nuovamente nella bufera: la causa è un reportage andato in onda nell’ultima puntata e che, realizzato da Matteo Viviani, affrontava il tema del Blue Whale, ovvero quell’internet game che porta alcuni adolescenti (specialmente in Russia) a misurarsi in prove estreme dalla pericolosità crescente, fino a commettere suicidio filmandosi in diretta.

Stando a un articolo di Selvaggia Lucarelli, apparso su Il Fatto Quotidiano, sarebbe stato lo stesso Viviani ad ammettere che alcuni video mostrati nel reportage “Blue Whale: Suicidarsi per gioco” erano finti, come pure le conversazioni con delle donne russe che dicevano di aver perso i loro figli a causa di quel gioco.

I VIDEO RUSSI E LA REPLICA DI VIVIANI – Nell’intervista che la Lucarelli ha fatto alla Iena, si apprende che i brevi clip video apparsi nel servizio andato in onda sarebbero stati inviati da una tv russa su di una pen drive, senza che però lo stesso Viviani avesse appurato prima la loro autenticità. Quest’ultimo si è difeso dicendo che

“pur se non veri, sono comunque esplicativi di questo fenomeno in preoccupante espansione”,

anche se il reportage è in seguito diventato virale e, a detta di alcuni opinionisti, potrebbe anche contribuire a generare pericolosi casi di emulazione tra gli adolescenti italiani.

“Non ho voluto praticare l’omertà su un tema così importante” ha ribadito la Iena, aggiungendo che il suo servizio potrebbe avere il merito di salvare qualche vita. La replica non ha comunque sortito l’effetto sperato dato che, anche su Twitter, molti utenti hanno segnalato come nel servizio fossero presenti anche video girati in Cina quasi sette anni fa, oltre a delle evidenti messe in scena, criticando anche la redazione del programma per i toni sensazionalistici con cui ha “impaginato” un prodotto giornalistico su fonti non attendibili o manifestamente false.