Cronaca

Massimo Bossetti si difende nell’interrogatorio: “Quel furgone non è il mio”

Un Massimo Bossetti apparso molto deciso e sereno, ha continuato a negare le sue responsabilità nell’uccisione di Yara Gambirasio, di fronte alla corte ed al presidente Antonella Bertoja. Ancora una serie di “no” di fronte alle domande che gli venivano poste; la strategia di Bossetti per il processo, la cui ripresa è in programma per il 18 marzo, è quella di confutare del tutto le tesi dell’accusa, ad iniziare dalla contestazione riguardo al furgone bianco che si vede nelle immagini delle telecamere di sicurezza.

Bossetti sostiene che quel furgone non è il suo, parlando di alcuni dettagli come ad esempio la lunghezza del cavalletto. Un punto sul quale si trova in netta opposizione con i periti chiamati dall’accusa che confermano come l’Iveco Daily sia proprio quello dell’imputato. In aula si è parlato anche delle “figurine”; la difesa del muratore di Mapello ha chiesto di visionare gli album che Bossetti sostiene di aver comprato per i figli, anche in una edicola che si trova davanti alla palestra frequentata da Yara Gambirasio, e di averlo fatto di frequente.

Secondo Bossetti, che ha riconosciuto gli album ed anche un mazzetto di figurine tenuto insieme da un elastico, gli edicolanti della zona lo conoscevano, ed in alcuni casi lo chiamavano al telefono anche quando arrivava una nuova fornitura, in modo da poter completare le varie raccolte. A Bossetti è stato contestato che l’edicolante ha sempre dichiarato di non averlo conosciuto come cliente abituale, e l’imputato a questo punto ha sostenuto che l’uomo mente. Gli album e le figurine sono stati consegnati dalla moglie di Massimo Bossetti, che anche in questa occasione ha assistito al processo.

Nell’udienza precedente, Bossetti aveva cercato di confutare anche la prova del Dna. Nelle prossime udienze saranno ascoltati una serie di testimonianze che sono state richieste dalla difesa di Bossetti, che continua comunque a negare tutto sostenendo che nessuno ha visto uscire Yara dalla palestra nella tragica sera dell’omicidio. Uno dei testimoni è un ragazzo che frequentava la stessa palestra e che all’epoca dei fatti aveva 11 anni. il ragazzo avrebbe visto proprio quella sera una ragazzina parlare con degli uomini vicino ad un furgone chiuso, e quindi non quello dell’imputato.

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