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Quali sono i settori dove l’Italia esporta di più?

La prima buona notizia di quest’anno, secondo le analisi di Confindustria, è che l’Italia supererà le aspettative delle previsioni per il 2023, evitando la stagnazione o, peggio, la recessione. Si tratta di un input positivo che coinvolge anche l’export del nostro Paese, già rivelatosi molto resiliente nel 2022 e che, in base alle rilevazioni dell’ufficio studi di PwC Italia (Price Waterhouse Coopers), potrebbe arrivare a 532 miliardi di euro per la fine dell’anno, con una crescita del 24% rispetto al 2020.
L’Italia non solo si è rivelato uno dei Paesi che meglio ha retto alla pandemia da Covid, facendo già registrare numeri più incoraggianti rispetto ad altri, ma sembra che l’incognita della guerra russo-ucraina al momento sia sotto controllo. Non siamo comunque in grado di quantificare eventuali scenari futuri, se il conflitto dovesse inasprirsi: al momento il saldo import-export con la Russia è sfavorevole all’Italia e potrebbe peggiorare, tuttavia a pesare sul trend positivo per le nostre esportazioni, ci sono i fondi del PNRR e il contributo all’agroalimentare, oltre al fatto che il nostro Paese è riuscito a compensare in altri modi le mancate vendite a Mosca. Resta da monitorare la spinta inflattiva che probabilmente sarà la spina nel fianco dell’economia mondiale per tutto il 2023.

Agroalimentare e manifattura

Sono questi i due settori di punta delle esportazioni italiane con risultati record per l’agroalimentare e una lieve flessione della manifattura (comunque in linea con la tendenza generale mondiale), anche se sempre di rilievo.
L’agroalimentare vede come prodotti di punta vino, pasta, salumi e formaggi, ma anche prodotti agricoli non trasformati. CIA, Confagricoltura e Coldiretti certificano così il costante apprezzamento del cibo italiano, sempre più amato in tutto il mondo e potrebbe crescere ulteriormente, se venissero applicate regole più stringenti su quel fenomeno che viene definito italian sounding e che in realtà si traduce in vera agropirateria. Si tratta di una tematica molto complessa da affrontare a livello internazionale, in quanto le norme contro le quali si scontra riguardano le singole legislazioni dei Paesi esteri. Fino a quando non ci sarà una vera e propria direttiva sovranazionale, sarà molto difficile contrastarla. Intanto l’agropirateria ha raggiunto i 120 miliardi di euro di fatturato, soprattutto a causa del freno dato dalle sanzioni e dagli embarghi (Russia e Cuba) che favoriscono una produzione protezionista dei Paesi coinvolti.

Sul fronte interno invece, le associazioni di categoria chiedono un maggior impegno del Governo nelle semplificazioni della burocrazia, nel riequilibrio tra filiera e guadagno degli agricoltori e nel miglioramento dell’efficienza di logistica e trasporti. Nonostante gli ottimi risultati, quindi, è ancora molto il lavoro da fare e ci si aspetta, soprattutto con il PNRR, di risolvere molte delle criticità che ancora affliggono il settore.

Il manifatturiero ha consolidato nel 2022 i risultati ottenuti nel 2021, nonostante una flessione fisiologica verso la fine dell’anno, soprattutto influenzata dal rincaro dei costi dell’energia. L’Italia si attesta come miglior manifattura europea rispetto al periodo pre-Covid, davanti a Spagna, Francia e Germania. In particolare, rispetto ai tedeschi, il nostro automotive ha registrato un’accelerazione, mentre nel loro caso si è verificato un brusco arresto nel settore, in gran parte dovuto alla maggiore dipendenza dall’energia russa. Le altre voci importanti che rilevano numeri interessanti sono le facilities, la farmaceutica, il packaging, la moda e il lusso. Uno dei motori principali di questa crescita è certamente l’innovazione che il provvedimento Industria 4.0 ha consentito di attuare in questi anni: con il miglioramento tecnico le nostre aziende sono diventate più competitive. Il nostro export manifatturiero è vincente soprattutto in Spagna, Francia e Germania, ma anche il Regno Unito ha retto, nonostante lo strappo della Brexit. La diffusione dei nostri prodotti (in particolare largo consumo e mobili) negli USA e negli altri paesi NAFTA (Messico e Canada) poi, ha tamponato il calo dovuto alle mancate esportazioni in Russia e Cina. Quest’ultima ha recentemente riaperto i mercati al resto del mondo ed è quindi prevista una crescita, soprattutto nella moda e nel lusso. Su www.aziende.it è possibile verificare quali siano le aziende che producono i fatturati più elevati, per avere un’idea più precisa degli attori in campo.

Il bilancio rispetto al 2022, le prospettive per il 2023

Il commercio internazionale (da una ricerca dell’Agenzia ICE, in partnership con Prometeia) è cresciuto rispetto ai livelli pre-Covid, tuttavia la stima per il 2022 era del 5,6%, risultato che non si è raggiunto a causa dell’imponderabile: il conflitto russo-ucraino. Il settore agroalimentare ha registrato un fatturato, l’anno scorso, di 60,7 miliardi di euro: ben 16,7% di punti percentuali in più rispetto al 2021. La manifattura invece, dopo il 15,9% in positivo del 2021, ha mantenuto un +2,6% nei primi 10 mesi del 2022, con un calo dell’1,1% nell’ultimo trimestre.
Le aziende esportatrici italiane sono comunque quelle che hanno dimostrato delle performance eccellenti in generale nel 2022, resistendo a quelle che saranno anche le problematiche da affrontare nel 2023: la guerra e l’inflazione.

Il rapporto del nostro export con la Russia è da sempre molto intenso. Attualmente sono 11.000 le imprese italiane che fanno affari con Mosca ed è evidente che le sanzioni e le conseguenti reazioni del Paese in guerra con l’Ucraina, hanno causato una contrazione degli scambi, i quali sempre di più si sono sbilanciati, con un import di 12,5 miliardi di euro dalla Russia, a fronte di un nostro export complessivo di 7 miliardi. La discrepanza riguarda essenzialmente il comparto energetico e arrivare a una rinuncia totale del gas in tempi brevi potrebbe essere molto complesso, con conseguenti rincari che, al momento, grazie alle intese europee, sono stati scongiurati.

Le prospettive restano comunque positive e molto dipenderà dalla capacità delle nostre imprese di affrontare seriamente la transizione energetica, sia in chiave ecosostenibile sia dal punto di vista strettamente economico. Un’azienda green può permettersi di avere consumi molto più bassi ed essere così più competitiva, oltre ad avere un appeal maggiore per i potenziali clienti e per gli investitori, dal momento che offre una visione del suo futuro ad ampio respiro. Il mercato più atteso è comunque quello asiatico, in particolare quello cinese: il Paese si è chiuso al mondo per la sua strategia “zero covid” e ha riaperto improvvisamente quando ha visto che il suo PIL aveva subito una contrazione non più sostenibile. Se da un lato questo ci ha favorito nell’export verso altri Paesi (non dimentichiamo che la Cina è un competitor agguerrito), dall’altro non ci ha consentito di sfruttare le nostre potenzialità del settore manifatturiero, come la moda, amatissima da sempre e con fatturati importanti in epoca pre-Covid.

Oltre alla geografia già conosciuta e consolidata, il nostro export potrà avere una crescita rilevante nei Paesi emergenti: essere i primi a guadagnare fette di mercato in economie come quelle dell’India o degli Emirati Arabi Uniti, potrà moltiplicare i nostri fatturati, ma sarà anche importante esplorare quegli Stati che stanno investendo nell’industria, come per esempio il Vietnam che si sta rivelando un punto di rifermento in Asia per il tessile. Aggiungere queste nuove realtà a contesti già consolidati sarà anche uno stimolo per studiare nuove strategie: cogliere l’occasione della grande necessità che ha il mondo di investire in nuove infrastrutture in chiave green, può aprire nuovi orizzonti. Uno dei mercati più floridi del 2023 per l’export saranno i beni di investimento, la cui crescita è stimata il +5,3%.

Tutto questo naturalmente se i venti di guerra non soffieranno in modo troppo invasivo, perché il conflitto in Ucraina resta la variabile meno definibile e i cui effetti non sono quantificabili, soprattutto se dovesse estendersi a livello globale: in quel caso cambierebbero tutti gli scenari fin qui paventati e dovremmo riscrivere un’altra storia, dalle tinte più fosche e delle quali non conosceremmo gli esiti. Per ora le previsioni per l’export italiano confermano per il 2023 il trend più che positivo già affermatosi nel 2022 e speriamo che le nostre aziende, così sempre piene di fantasia e talento, possano sfruttare le occasioni che la fine del periodo pandemico ha offerto fin’ora a tutti i settori del Paese.

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