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Alzheimer: recupero della memoria possibile grazie agli ultrasuoni?

L’Alzheimer è una malattia che colpisce, in tutto il Mondo, un numero enorme di persone, stimato in 26 milioni. Si tratta di una patologia neurodegenerativa che si verifica soprattutto a partire dai 65 anni di età, seppure siano stati osservati diversi casi precoci.

Considerando l’Australia, Paese nel quale recentemente è stato condotto uno studio in merito all’Alzheimer, è stato stimato che, entro il 2050, i malati potrebbero incrementare in modo significativo (si parla di 900.000 casi) seguendo il trend attuale. L’introduzione di diverse cure negli ultimi anni ha reso possibile aumentare il benessere degli stessi ammalati incrementando, di conseguenza, la vita media.

In diversi casi, però, le cure a base di farmaci si verificano inadatte; oltre a non migliorare la condizione degli anziani colpiti dalla malattia, comportano anche costi notevoli per la Sanità (elemento da non trascurare in questo contesto di crisi). Inoltre, nessun farmaco è in grado di ridurre il declino cognitivo.

La notizia arrivata dall’Università del Queensland sembra, però, dare una nuova speranza nel trattamento di tale malattia. In base ad uno studio effettuato, i ricercatori sarebbero arrivati alla conclusione che gli ultrasuoni avrebbero la capacità di restituire la memoria.

Se confermata, tale tesi potrebbe portare ad un nuovo modo di affrontare una battaglia molto difficile, che rappresenterebbe un’alternativa innovativa ai farmaci. Lo studio australiano ha indicato che i fasci ultrasonici sarebbero capaci di distruggere una percentuale pari al 75% delle placche amiloidi. Queste ultime sono indicate come la causa del morbo di Alzheimer; tali placche si depositano a livello cerebrale, distruggendo la funzionalità dei neuroni.

Le sperimentazioni, al momento, sono state condotte su dei topi; i fasci, una volta indirizzati sulle placche sono riusciti a stimolare diverse cellule immunitarie. Grazie a queste ultime, è stato possibile distruggere le placche amiloidi, che causano una degenerazione delle stesse funzioni cerebrali di chi è stato colpito dalla malattia.

La possibilità di non utilizzare i farmaci sarebbe un vantaggio innegabile, soprattutto quando ad essere impiegati sono i medicinali neurolettici. Questi ultimi, infatti, presentano diverse controindicazioni finendo per compromettere, in diversi casi, le funzioni cardiovascolari.

Una volta conclusa la sperimentazione che ha avuto per oggetto gli animali, sarà necessario attendere prima di poter passare ai test effettuati sull’uomo, perché la terapia dovrà essere calibrata sul cervello umano molto più esteso, ovviamente, di quello animale.

È stato il professor Jürgen Götz, in qualità di responsabile del progetto, a spiegare il funzionamento della terapia basata sulle onde ultrasoniche. Lo studioso ha confermato come l’obiettivo sia quello non solo di sostituire parzialmente i farmaci, ma di eliminare completamente il loro utilizzo, portando ad una lotta, si spera, più efficace.

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