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Ansia: l’interruttore è nel cervello. Si lavora a farmaci blocca-paura

Non c’è parte del corpo umano che sia più misteriosa del cervello: lo sanno bene i due gruppi di scienziati autonomi coordinati da Bo Li, ricercatore appartenente al CSHL (Cold Spring Harbor Laboratory), e  Gregory Quirk dell’ateneo di Porto Rico, che hanno contribuito, a darne una visione più completa, scovando i meccanismi che originano le ansie e le paure di cui tutti soffriamo.

Il team guidato dai due ricercatori, ha scoperto che i ricordi più dolorosi sono conservati in una regione del cervello chiamata amigdala. Studiando i topi, è emerso chiaramente come il percorso utilizzato dal cervello per richiamare il ricordo di un recente accadimento, fosse nettamente diverso rispetto a quello compiuto per rievocare un ricordo traumatico. Questa scoperta è stata possibile sottoponendo i topi da esperimento a delle lievi scosse elettriche; queste piccole scosse, generando nelle cavie una sensazione dolorosa, hanno fatto in modo che i topi catalogassero questi impulsi esterni sotto forma di eventi traumatici. Tramite questo procedimento, è stato possibile verificare come il cattivo ricordo dei topi partisse “dalla regione pre-limbica della corteccia prefrontale (PL) all’amigdala basolaterale“, per arrivare, a distanza di una settimana, “all’amigdala centrale (CeA), mediante il nucleo paraventricolare del talamo (PVT).” Appare evidente dunque, come il ricordo traumatico sia portato a modificare il suo tragitto, aumentando, probabilmente, la sua influenza.

Gli studiosi, hanno scoperto come i neuroni della corteccia prefrontale siano i principali interpreti dell’elaborazione della paura, poiché agiscono su una categoria di neuroni capace di memorizzare i ricordi dolorosi nella regione centrale dell’amigdala. Com’è noto, l’attività neuronale si serve del lavoro di alcuni trasportatori chimici, noti sotto il nome di “Brain Derived Neurotrophic Factor” e individuati originariamente dalla scienziata italiana Rita Levi Montalcini, capaci di favorire la comparsa di nuovi neuroni e di nuovi legami. Infondendo una piccola dose di questi fattori nell’amigdala centrale dei topi sottoposti all’esperimento, la sensazione di paura è stata bloccata. Lo studio, pubblicato sulla rivista specializzata “Nature”, e foraggiato dal National Institutes of Health, ha come obiettivo la realizzazione di farmaci che curino con un approccio totalmente diverso rispetto a quello attuale i disturbi legati all’ansia.

Se raggiunto, tale obiettivo, consentirebbe un notevole miglioramento della qualità della vita per quei 40 milioni di uomini e donne che nel mondo, a causa di un trauma o di altre ragioni, riscontrano difficoltà nell’affrontare anche le più comuni attività giornaliere, come entrare in ascensore o guidare una macchina.

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