Economia

Jobs act: cosa cambia per chi viene assunto. Come funzionano i licenziamenti dal 7 Marzo

Il 7 Marzo scorso è entrato in vigore in via ufficiale il Jobs Act, che prevede nuove regole nei rapporti di lavoro a tempo indeterminato.
Sono due i punti principali su cui si basa la riforma del lavoro fortemente inseguita e voluta da Renzi e dal suo Governo: licenziamenti in sostanza più semplici e ammortizzatori sociali rinnovati.

Le nuove norme, come detto, riguarderanno i contratti a tempo indeterminato – ad esclusione di quelli dei pubblici impiegati – e sono valide per le assunzioni effettuate dal 7 marzo in poi; per tutti i contratti siglati prima di tale data, restano in vigore le precedenti norme.
Le principali modifiche introdotte con il Jobs Act riguardano diversi ambiti dei contratti di lavoro, ora regolati in maniera differente. Se un dipendente viene licenziato per motivi discriminatori – che possono essere pregiudizi di natura politica, razziale, sessuale o sindacale – avrà diritto ad un risarcimento che equivale a cinque mesi di stipendio, più il reintegro se il licenziamento è stato ritenuto illegittimo da parte del Giudice. Il dipendente, in alternativa, potrà lasciare l’azienda e optare per un indennizzo equivalente a 15 mensilità del suo stipendio.
Se, invece, un dipendente viene licenziato per motivazioni di tipo economico a causa, ad esempio, di un taglio dei costi da parte dell’azienda, non godrà del diritto al reintegro anche se il Giudice, successivamente, stabilisca che il suo licenziamento è illegittimo. In caso di vittoria in Tribunale, al dipendente licenziato spetterà solamente un risarcimento pecuniario equivalente a due mesi di stipendio per ogni anno in cui ha lavorato in quell’azienda. In totale avrà diritto ad un minimo di quattro mensilità e ad un massimo di 24, ma se l’azienda ha meno di 15 dipendenti la forbice scende fra due e sei mensilità complessive.
Allo stesso modo, non è contemplato il reintegro per i licenziamenti di tipo disciplinare, ovvero quando il dipendente è accusato di insubordinazione, rendimento scarso o assenteismo. Il lavoratore può ovviamente far causa alla propria azienda e in caso di vittoria gli spetterà un risarcimento le cui modalità sono le stesse che valgono per il licenziamento economico. In un caso, però, il reintegro diventa obbligatorio: quando le ragioni del licenziamento si rivelano inesistenti (ad esempio se il lavoratore viene accusato di furto in maniera ingiusta).
Il reintegro non è più obbligatorio neppure per i licenziamenti collettivi (dai 5 licenziati contemporaneamente in su). Coloro che vengono licenziati avranno diritto solamente ad un risarcimento, se l’azienda ha rispettato le procedure che sono previste dalla legge. L’ammontare degli indennizzi segue lo schema valido per i licenziamenti economici e per quelli disciplinari.
Se entrambe le parti, vale a dire azienda e licenziato, vogliono evitare di ricorrere al tribunale, possono usufruire di una nuova procedura per la conciliazione. All’ex lavoratore viene offerto un indennizzo pari ad una mensilità per ciascun anno in cui ha prestato servizio all’interno dell’azienda, fino ad un tetto massimo di 18 mensilità. Se il dipendente accetta l’offerta, la pratica di licenziamento si chiude ufficialmente.

Per quanto concerne gli ammortizzatori, i dipendenti licenziati potranno godere dei sussidi di disoccupazione previsti dalla Naspi, “Nuova Assicurazione Sociale Per l’Impiego“. L’indennità prevista dal sussidio sarà equivalente al 75% dello stipendio, sino ad un massimo di 1.300 euro al mese.
Il sussidio avrà una durata equivalente a metà delle settimane di lavoro nell’arco degli ultimi quattro anni. Quindi chi ha lavorato per tre anni, potrà godere del sussidio per un periodo di 18 mesi. Il limite massimo di durata previsto per la Naspi è di 24 mesi.

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