Economia

W l’8 marzo, ma intanto le donne continuano ad essere meno pagate e valorizzate dei propri colleghi uomini

Nel Bel Paese, gli uomini guadagnano mediamente il 7,2% in più rispetto alle loro colleghe del gentil sesso. A rivelarlo i dati pubblicati proprio alla vigilia dell’8 Marzo dall’Eurostat, Ufficio Europeo di Statistica, che in base a registrazioni inerenti l’anno 2014, ha messo in luce una differenza di circa 2.000 euro tra le retribuzioni lorde annue dei lavoratori maschi rispetto a quelle delle donne occupate (29.891 contro 27.890 euro).

Ciò nonostante, l‘Italia non è certo l’unica a presentare un divario di trattamento tra i salari di uomini e donne ed anzi nella lista nera si colloca tra gli ultimi posti in Europa, dove la disparità di salario media risulta pari al 16,4%, con punte di 29,9% in Estonia, 23% in Austria, 22,1% in Repubblica Ceca e 21,6% nella stessa tanto decantata Germania. All’estremo opposto, in una posizione migliore rispetto allo Stivale, si trovano invece solo tre stati: la Slovenia, dove il gap tra le remunerazioni di uomini e donne si attesta al 3,2%, seguita da Malta (5,1%) e Polonia (6,4%).
Se, dunque, è innegabile che anche in Italia le donne lavoratrici siano discriminate, in quanto, a parità di ruolo, portano a casa uno stipendio più basso dei loro compagni di lavoro, è comunque da sottolineare che la differenza è tra le minori rilevate nel nostro continente.
D’altra parte, se da un lato questo dato si rivela indubbiamente positivo, almeno raffrontato alla media europea, dall’altro non si può dimenticare che l’Italia, stando ai dati, non riesce ad affrancarsi da una tradizione negativa, che riguarda stavolta lo scarsissimo numero delle donne occupate.
Nel nostro Paese, infatti, le lavoratrici sono ben il 20% in meno dei lavoratori (con un tasso di occupazione maschile del 69,8% contro uno femminile del 49,9%) e solo Malta, con una differenza del 29,6%, riesce a superare questo primato negativo.

Ma le “distanze” economiche tra i sessi si fanno sentire anche rispetto ad altri indicatori.
Per quanto riguarda l’accesso alle posizioni di vertice, ad esempio, le donne a capo di aziende italiane ammontano solo al 29% (contro il 71% dei dirigenti maschi), anche se bisogna puntualizzare che rispetto al 2004 vi è stato un incremento positivo di 5 punti percentuali. Va un po’ meglio per quanto riguarda i “quadri”, dove gli uomini sono sempre in maggioranza, ma si fermano al 58%.
Considerando poi il rapporto tra livello di istruzione e stipendio, da noi il numero dei lavoratori laureati è inferiore a quello delle colleghe con un titolo accademico, ma ciò non toglie che i primi guadagnino mediamente circa il 33,3% in più, con una retribuzione lorda annua di 48 mila euro, contro i 36 mila delle seconde.
Infine, anche gli orari lavorativi sono differenti, dato che secondo l’Eurostat solo l’8,1% degli uomini è assunto nel nostro Paese con un contratto part-time, che invece riguarda ben il 31,8% delle donne.
Questa constatazione può naturalmente essere correlata ad alcune professioni che generalmente sono ricoperte in misura maggiore da donne, come quelle che ricadono negli ambiti dei servizi alla persona e del commercio al dettaglio.
D’altra parte, come fanno notare gli esperti Eurostat, la spiegazione di alcune differenze e “scelte” di ruoli ed orari può essere fatta risalire a ragioni culturali e dunque a specifiche tradizioni locali e nazionali, così come ad esigenze familiari, tanto da rendere auspicabili concreti interventi volti ad una reale conciliazione tra vita professionale e famiglia.

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