Economia

Facebook: attenti a ciò che scrivete, un post sbagliato può costare il licenziamento

È una domanda che molti impiegati e lavoratori pongono: si può venire licenziati per ciò che si scrive su Facebook (e in generale sui social network)? Senza girarci troppo intorno, la risposta è sì.

Bisogna prestare molta attenzione, dunque, a ciò che si scrive: il nostro capo potrebbe leggere commenti offensivi, oppure un post scritto senza pensare troppo, di getto, per sfogare la frustrazione e potrebbe non gradire; così un momento passeggero di rabbia potrebbe costarci il lavoro e portare il capo a licenziarci. Quando si scrive su un social network, bisogna pensare che anche il nostro datore di lavoro può leggere aggiornamenti di stato e commenti vari, dunque meglio lasciare fuori da Facebook o Twitter le frustrazioni che derivano dal lavoro.
Anche se il capo non fa parte dei nostri amici, potrebbe essere amico di un amico e quindi può arrivare a leggere ciò che scriviamo attraverso altre strade, facendo scattare il licenziamento se le cose da noi scritte dovessero essere poco gentili nei confronti suoi oppure danneggiare l’immagine dell’azienda.
In caso di malumori sul posto di lavoro, dunque, l’ultima cosa da fare è sfogarsi in pubblico, anche se si tratta di un pubblico soltanto virtuale. Licenziamenti dopo improvvidi post su Facebook ce ne sono stati parecchi, in molte parti del Mondo. Il presidente dello “Sportello dei Diritti“, Giovanni D’Agata, ha raccolto diversi casi di persone licenziate dopo aver scritto post carichi di insulti oppure molto sarcastici nei confronti del datore di lavoro o dei colleghi.
Il caso più emblematico è quello di un dipendente inglese, che su Facebook aveva definito il proprio capo un “seg**olo perverso“: il suo licenziamento fu inevitabile. Ancora peggio fece il marine statunitense che scrisse:

“Al diavolo Obama, non eseguirò certo tutti i suoi ordini”,

compiendo un doppio sbaglio: non solo ha insultato il proprio presidente, ma ha anche affermato di non voler sottostare a ordini che invece, in quanto militare, deve eseguire. È stato immediatamente, ed inevitabilmente, allontanato dall’esercito.

Non sono però esclusivamente gli insulti a poter causare il licenziamento, a volte può bastare uno scambio di aneddoti che riguarda il posto di lavoro. È ciò che è accaduto a tredici persone che lavoravano nella compagnia aerea “Virgin Atlantic“: nel 2011 hanno perso il posto poiché su Facebook avevano parlato della presenza di scarafaggi all’interno degli aerei e di guasti ai motori, argomenti che la compagnia aerea non ha affatto gradito. Simile è il caso di Johnny Cook, conducente di autobus che aveva riportato in un post un aneddoto riguardante un ragazzo della scuola, il quale non aveva potuto mangiare alla mensa poiché gli mancavano alcuni centesimi. La scuola lo ha licenziato in quanto ha parlato in pubblico di questioni interne alla scuola stessa.
Il Presidente americano è un argomento tabù sui social network: l’addetta stampa Elizabeth Lauten è stata sollevata dall’incarico lo scorso anno per aver commentato pubblicamente, e in maniera tutt’altro che positiva, l‘abbigliamento delle figlie di Obama.
Infine ecco il caso di Claudia B., impiegata svizzera che aveva richiesto la mutua poiché l’emicrania non le consentiva di restare davanti al monitor del pc. A casa, però, passava parecchio tempo su Facebook, fra post e commenti. Inevitabile la decisione da parte dell’azienda: licenziamento in tronco.  E in Italia non mancano i casi analoghi.
I precedenti, insomma, non mancano: quando si parla di lavoro su Facebook, bisogna farlo con cautela.

 

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