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Sclerosi multipla, ecco la proteina che rallenta il decorso della malattia

Importanti novità arrivano dalla Fondazione Santa Lucia di Roma, che nell’ambito di un importante studio, i cui risultati sono stati pubblicati sull’autorevole rivista Clinical Science, è riuscita ad individuare una proteina, chiamata IL-9, in grado di rallentare il decorso della malattia.

La sclerosi multipla è una malattia neurodegenerativa autoimmune che colpisce il sistema nervoso centrale a seguito di un deficit del sistema immunitario del paziente, che va erroneamente a danneggiare la mielina, il rivestimento delle fibre nervose deputate alla trasmissione dei segnali, andando così a compromettere la comunicazione tra il cervello e il midollo spinale.

Le cause di questo “errore” commesso dal sistema immunitario dei pazienti affetti da sclerosi multipla non sono ancora note, tuttavia lo studio della Fondazione Santa Lucia di Roma ha individuato e dimostrato il ruolo fondamentale svolto dalla proteina IL-9, capace di rallentare la progressione della malattia in quanto va ad agire direttamente sulle cellule responsabili dell’infiammazione tipica della malattia.

A spiegarlo è stata Elisabetta Volpe, responsabile dello studio, che per ben quattro anni ha analizzato la presenza di tale proteina nel liquido cerebrospinale di oltre 100 pazienti affetti da sclerosi multipla, osservando come il decorso della malattia fosse più lento in quelli in cui tale proteina era presente in quantità maggiore.

Lo studio ha inoltre dimostrato che i linfociti Th9, mediante la produzione della proteina IL-9, rallentano a loro volta l’attivazione di un’altra tipologia di linfociti (Th17), che al contrario provocano un’accelerazione dell’infiammazione legata alla malattia.

L’importanza dello studio è evidente, in quanto pone le basi per la predisposizione di una potenziale cura farmaceutica attraverso la quale rallentare il decorso di questa malattia che ancora oggi colpisce 2,5-3 milioni di persone in tutto il mondo, circa 72000 in Italia. Lo studio è stato finanziato dal Ministero della Salute nell’ambito del programma per “Giovani ricercatori”. Hanno collaborato anche il Policlinico universitario Tor Vergata, l’ospedale San Camillo di Roma e l’ospedale San Raffaele di Milano.

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